La mia esperienza di volontariato in Bolivia con bambini e ragazzi della città di Sucre
Ciao a tutti! Mi chiamo Giulia, ho 25 anni e sono una giovane psicologa.
Nei mesi di marzo, aprile e maggio 2025 ho preso parte ad un progetto di Volontariato nella città di Sucre, in Bolivia.
Una serie di motivi mi hanno spinta a partire. Ci sono stati episodi molto semplici, come un pranzo con un’amica appena tornata da una missione che, con i suoi racconti, mi ha trasmesso una serie di emozioni che avrei voluto provare anche io, sulla mia stessa pelle. Si sono poi incrociati una serie di avvenimenti di vita, come la fine degli studi. Dopo la laurea magistrale a dicembre, mi si sono parate davanti diverse opzioni. Alla fine, la possibilità di prendermi una pausa dal mondo dello studio e del lavoro e lasciarmi coinvolgere da un’esperienza diversa, più personale, ha prevalso sulle altre.
Inizio quindi ad informarmi sulle opportunità offerte da Associazione Joint, e alla fine scelgo come destinazione la Bolivia. Oltre ad un interesse generale per l’America Latina, la scelta di andare in Bolivia era per me legata al fascino che questo Paese mi trasmetteva. Scorrendo alcune foto su internet mi sono sentita attirata dai volti delle persone, dai paesaggi, dalla cultura boliviana. Un motivo più pratico, invece, per cui ho scelto la Bolivia è emerso leggendo un paio di report o di schede descrittive del Paese, che lo evidenziano come uno dei più poveri del continente americano. Lì il mio aiuto era necessario.
Pensando comunque al mio futuro lavorativo, decido di candidarmi per un progetto a contatto con bambini e ragazzi, avendo così la possibilità di fare di un’esperienza di volontariato una risorsa preziosa per le mie prospettiva future. In Bolivia la povertà educativa è fortemente presente. Tanti bambini vivono situazioni familiari ed economiche molto complesse che non gli permettono di accedere ad un’adeguata istruzione e, più banalmente, ad una crescita serena.
Il primo progetto a cui ho preso parte si svolgeva all’interno di due case: Casa Misky Wasy e Casa Lusavi. Queste due strutture, la cui costruzione e implementazione è stata guidata dalla Fundación Amazonia, accolgono bambini/e e ragazzi/e dai 6 ai 18 anni che hanno situazioni familiari complesse. Alcune volte problematiche “semplicemente” economiche, altre volte storie di abusi, di genitori maltrattanti o con problematiche psicologiche e fisiche tali da non permettergli la cura dei figli. I bambini vivono in queste strutture dal lunedì al venerdì, mentre nel fine settimana tornano a casa o, nelle situazioni più complicate, da parenti che possano prendersi cura di loro (con ovviamente la possibilità di permanere nella casa anche nel fine settimana). All’interno di queste due case il mio ruolo era molto semplice: passare del tempo con i bambini. Il mio tempo è stato il regalo più bello che potessi fare ai bambini e ragazzi che ho conosciuto. Durante la giornata svolgevo con loro i compiti, si giocava insieme, si cucinava. Non dimenticherò mai il giorno in cui ho cucinato con le ragazze una pizza, la prima volta per loro. Non dimenticherò mai lo sguardo timido di alcuni bambini, che piano piano mi si sono avvicinati. Non dimenticherò mai lo sguardo triste di chi dal primo giorno mi ha dato fiducia e dopo tre mesi mi ha dovuto salutare.
Trascorso il primo mese, il mio referente di ICYE Bolivia mi ha proposto di prendere parte anche ad un altro progetto, Musuq Sunqu (cuore nuovo in lingua quechua). Questo progetto mi ha aperto gli occhi su una realtà diversa, quella di periferia. Infatti, mi son trovata immersa in un progetto di doposcuola per bambini e ragazzi di un barrio appena fuori dalla città. Le proposte per i ragazzi erano varie: supporto pedagogico, supporto psicologico, aiuto compiti, giochi in compagnia. Ho preso parte a tutti questi aspetti del progetto e mi sono sentita parte di una realtà incredibile. Seppur all’inizio non sia stato facile immergermi in una realtà di periferia, che per la Bolivia è sinonimo di povertà, l’opportunità che questo progetto offre ai ragazzi del quartiere mi ha trasmesso una fiducia e una positività senza precedenti.
Mai come prima mi è stato chiaro che non servono belle case o bei quartieri, bastano menti coraggiose e brillanti per trasformare un capannone in una grande opportunità per chi già in partenza ne ha poche. Oltre la mia partecipazione ai progetti, i miei tre mesi in Bolivia li ho trascorsi in compagnia di persone incredibili, a partire dai responsabili dei progetti fino ai volontari di ICYE che ho conosciuto nel corso del tempo. Spendere il mio tempo con i volontari mi ha spesso aiutata ad alleggerire alcune giornate pesanti e mi ha offerto l’opportunità di dialogare e confrontarmi su diverse tematiche. Con loro ho condiviso esperienze meravigliose. I viaggi che ho avuto la fortuna di poter fare nel corso dei mesi mi hanno fatto innamorare della Bolivia e di tutte le sue opportunità, lasciandomi anche una sensazione di sofferenza per la difficoltà che a volte questo Paese vive nel saper sfruttare le sue ricchezze.
La mia esperienza boliviana mi ha lasciato addosso svariate sensazioni, alcune positive ed altre meno. Mi ha aiutato ad essere una persona più umana, più attenta, più buona. Al tempo stesso ha aumentato il mio dispiacere e la mia rabbia per le differenze sociali che esistono nel mondo. La povertà con cui mi sono fronteggiata ogni giorno mi ha messo alla prova. La cosa incredibile, però, è stata l’aver trovato nella povertà materiale una grande ricchezza spirituale.
Non c’è modo migliore di conoscere la cultura e la società di un Paese che immergersi in un progetto di volontariato. In questo modo, non si incontrano solamente luoghi mozzafiato e piatti tipici, bensì si entra in contatto con le persone che questi luoghi li abitano e li respirano da sempre. Sono loro le “cose” più autentiche che si possono incontrare.
Se penso ai mesi vissuti in Bolivia, la prima cosa che mi viene in mente, infatti, non è un luogo. Sono i volti dei bambini, dei ragazzi, degli anziani che hanno costellato la mia esperienza a farsi spazio in modo vivido nella mia memoria.
Giulia Cherubini
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